Il tempo della Comunicazione
A cura di: Ferdinando Garetto
"Il tempo della comunicazione è tempo si cura" ribadisce Giada Lonati nel suo vivace intervento al recente XXIX Congresso Nazionale SICP, riprendendo quanto è stato sancito per legge nel 2017 ed è ancora troppo disatteso... A questo proposito abbiamo chiesto al Dottor Ferdinando Garetto, Socio Fondatore del Sentiero, cosa ne pensa e lui ci ha regalato stimolanti spunti di riflessione.

Nella legge 219/2017 (“norme in materia di consenso informato e pianificazioni anticipate di trattamento”) il comma 8 dell’articolo 1 è lapidario: “ Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.
Una semplice frase, in una legge articolata che affronta molti dei temi più complessi dell’accompagnamento alle malattie inguaribili e alla fine della vita, ma che potrebbe essere –se applicata- la base per una vera e propria rivoluzione nei sistemi sanitari.

Che cosa potrebbe nascere da un movimento di opinione, che potrebbe appunto chiamarsi “comma 8”, per l’attuazione di quella che è a tutti gli effetti una disposizione di legge?
Perché se “il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura”, allora il sistema organizzativo di lavoro dovrebbe garantire a qualunque operatore sanitario le condizioni per poterlo rispettare.
Molto concretamente si tratterebbe di revisionare a fondo i rapporti numerici (quale “tempo di comunicazione” può dedicare un infermiere di RSA in turno su 90 pazienti ricoverati?), gli spazi (quante comunicazioni inappropriate nei corridoi, nel via vai di un ospedale o in una camera a più letti), i modelli organizzativi (cercando metodiche narrative di compilazione della cartella clinica, passaggi di consegne curati, strategie condivise di equipe nella gestione dei conflitti), i percorsi formativi (quanti operatori lamentano la mancanza di formazione alla comunicazione delle cattive notizie, per esempio).

Ma è anche vero che “il tempo della comunicazione” ci interroga quotidianamente su un altro piano, che non è solo organizzativo, ma è quello di un tempo interiore, fatto di intensità, sguardo, compassione autentica. E’ il tempo che qualsiasi operatore può recuperare nel rapporto anche di pochi secondi con le persone che quotidianamente affollano i luoghi di cura (fermarsi per dare un’informazione, guardare negli occhi la persona impaurita a cui si farà uno dei cento prelievi della giornata, accogliere la preoccupazione di un familiare nella sala di attesa di un Pronto Soccorso).
Le cure palliative, a domicilio e in hospice, possono essere il luogo in cui una comunicazione di questo genere si può esprimere in tutta la sua ricchezza. Dal primo incontro, chiedendo permesso suonando alla porta di un’abitazione, alla presenza costruita in quell’alleanza fra operatori, malato e famiglia nel tempo quotidiano delle assistenze (il tempo di un colloquio, il tempo di un caffè, il tempo di un ricordo o di un racconto di storie di vita, il tempo dell’urgenza e il tempo del silenzio, il tempo del “dopo”…).

Il “tempo speciale delle cure palliative”, una delle grandi intuizioni di Cicely Saunders che ancora oggi ci paiono convincenti e attuali.Un tempo fatto di profondità più che di durata … le ore ricche di significato che sembrano passare in un attimo restano per sempre; le ore vuote che sembrano non finire mai svaniscono in un nulla”.
Di lei si diceva: «…Ha la dote di stare con una persona mai vista prima e sentirsi subito come se la conoscesse da sempre. Sa ascoltare e fa sì che le persone si aprano immediatamente e dopo pochissimo tempo le confidino le loro paure più nascoste, i segreti di famiglia e tante altre cose».
Il segreto racchiuso in un’esperienza sapienzale della tradizione hasidica spesso citata da Cicely: «Perché si dice che le persone andrebbero ascoltate come se ci si stesse specchiando nell’acqua invece che in uno specchio? Perché se ci si guarda nell’acqua bisogna stare quasi immobili, altrimenti è facile che l’immagine si alteri».

(Citazioni da:
– S. Du Boulay – Cicely Saunders: l’assistenza ai malati ‘incurabili’ – Jaca Book
– C. Saunders : Templeton Prize Speech – May 1981)

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