Il Pudore nei gesti di Cura: il rispetto dell'intimità dell'altro
A cura di: Dr.ssa Barbara Forno, medico palliativista, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano

Marta si risveglia dopo l’intervento chirurgico, apre gli occhi e si trova in uno stanzone della Rianimazione, si accorge che è nuda, un lenzuolo bianco la copre, accanto a lei a destra e sinistra altri letti occupati da altri degenti, quello a destra è un uomo. In pochi minuti arrivano gli infermieri per rinnovare le medicazioni e controllare i drenaggi: via il lenzuolo senza una parola verso Marta, senza presentarsi, parlano tra loro della semifinale di Champions che si è giocata la sera prima. Marta dice: “Ma sono nuda, e quello è un uomo!” Uno degli infermieri tira la tendina e con uno sbuffo dice: “Tanto è in coma”.

La relazione di cura è fatta di due o più soggetti che necessariamente devono interagire e nell’interazione umana esistono vari livelli di comunicazione: la comunicazione verbale consiste nelle parole che ci scambiamo, così importanti per costruire un percorso di condivisione negli intenti e nel cammino di consapevolezza della malattia: quanto sarebbe cambiato se l’infermiere si fosse presentato a Marta, l’avesse preparata a ciò che stava per fare. L’altro aspetto non di minor conto riguarda la comunicazione non verbale: potentissima nel determinare il veicolare di un messaggio, va a toccare in maniera più viscerale il nostro stato d’animo. Torniamo a Marta, da visitare e lavare nuda, il corpo esposto ad un operatore sanitario vestito: già si configura una asimmetria nella quale l’intimità di solo una delle due parti è manifesta. Quali sentimenti suscita tale situazione in ciascuna delle due parti? In quale posizione si deve porre l’operatore in maniera più opportuna affinché quel corpo di fronte non rimanga solo un corpo, ma sia pienamente persona? Nella mia esperienza di medico e di paziente do il nome di pudore a questa posizione più umana. “Pudore” non inteso come sentimento di imbarazzo o di imposizione culturale e morale che sottende una impurità legata alla nudità, bensì “pudore” come percezione dell’altro in quanto essere umano, come soggetto complesso fatto di esigenze, bisogni e desideri.

Per citare Emmanuel Levinas, filosofo del secolo scorso, il pudore diventa distanza etica nella quale posso affermare che l’altro è soggetto irriducibile, non riducibile ad oggetto, e perciò insopprimibile. Da questa posizione ne derivano tre grandi conseguenze: il rispetto, la dignità e la responsabilità. Il gesto di cura, perciò, può diventare spazio etico di dignità, perché il corpo sul quale pongo le mani non può essere ridotto a oggetto, a carne, ma anzi soggetto che mi sta permettendo di entrare nella sua sfera di intimità. Questa intimità, se accolta con il giusto rispetto, può spalancare la relazione aprendo canali di comunicazione davvero altrimenti impensabili. Nella mia esperienza è accaduto tante volte che i malati scegliessero il momento dell’igiene con l’infermiere o l’operatore sociosanitario come momento privilegiato di apertura di sé e di confidenza delle proprie paure o delle proprie domande. Per fare accadere questo, occorre necessariamente che il gesto di cura sia un gesto rispettoso, mai violento, mai imposto, sempre chiesto e conquistato dentro una fiducia, così carico della consapevolezza della responsabilità che quello stesso gesto comporta. Questo vale anche per me stesso: sono custode della mia dignità quando conservo il pudore della mia umanità. Solo con questa posizione umana potrò affacciarmi alla fragilità dell’altro ricordando che l’altro non mi appartiene: l’altro può aprirsi verso di me se riconosce uno spazio sicuro in cui farlo.

La nostra ispiratrice Dame Cicely Saunders espresse questo spazio di vulnerabilità con questa meravigliosa frase: “Se ci presentiamo non solo nella nostra funzione di professionisti, ma anche nella nostra comune e vulnerabile umanità, non ci sarà bisogno di parole da parte nostra, solo di ascolto che si fa vero interesse”.
Da qui in poi anche solo il gesto di alzare un lenzuolo dal corpo di Marta potrà essere anticipato necessariamente da una domanda: “Posso?”.

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