La fine della vita
A cura di: Ferdinando Cancelli
Ospitiamo, come "Punto di vista" senz'altro attuale e meditato, l'intervento del Dr. Ferdinando Cancelli: medico palliativista e bioeticista, è collaboratore del quotidiano "Il Foglio", da cui il testo è tratto (cfr. ediz. del 28-8-2025, p.4))

“Je ne ferai jamais un geste pour abréger une vie à laquelle je crois tant”, faceva dire Albert Camus a Zagreus nel romanzo incompiuto La mort heureuse.

“Il dibattito sulla legge per la fine della vita riprenderà, probabilmente, a settembre. Molti però dimenticano, non essendoci stato un vero dibattito pubblico, che in Italia la legge sulla fine della vita esiste già, la legge 219 del 2017, e che quella che sarà in discussione sarà non tanto una legge sulla fine della vita, ma un testo che dovrebbe portare anche in Italia all’approvazione del diritto, in determinate circostanze, di farsi aiutare da un medico a morire o con la prescrizione di un veleno da autosomministrarsi (suicidio assistito) o chiedendogli la vera e propria somministrazione di questo (eutanasia). Quindi, la legge che qualcuno invoca e che anche diversi cattolici sembrano aver sdoganato considerandola “il male minore”, quasi un destino inevitabile di fronte ad un mondo occidentale sempre più stanco di vivere, non solo non darà al nostro paese la tanto agognata legge sul fine vita, che già c’è, ma si pianterà come un chiodo nel bel mezzo del nostro modo di essere medici, di essere pazienti, di essere persone. E occorre fare molta attenzione: non basta più, sempre come si è sentito dire anche in questo caso da molti cattolici, proporre le cure palliative come alternativa e antidoto alla morte medicalmente assistita. Non basta più perché le cure palliative, negli ultimi venticinque anni, qualcuno, dal di dentro che più dentro non si può visto che si tratta di una parte della Società italiana di cure palliative, le vorrebbe cambiate, disponibili in alcuni casi a dare la morte a chi lo chiede, richiedendo anche la partecipazione del Sistema sanitario nazionale alla realizzazione della morte su richiesta.
La sofferenza di molti medici palliativisti fedeli allo spirito originario della medicina palliativa, quello di Cicely Saunders che non affrettava né ritardava il decesso limitandosi ad accompagnare professionalmente e umanamente il malato, è doppia: vedono da un lato la loro disciplina infettata dal moderno virus della morte ‘on demand’ e temono che i pazienti perdano la fiducia in un medico non più sempre dalla parte della vita; dall’altro, hanno sotto gli occhi l’insipienza di coloro che dovrebbero nettamente rigettare, anche contro tutto e contro tutti, una degenerazione distruttiva per la persona stessa e per la società intera. E non dimentichiamo che già oggi questo non vuol dire ‘far vivere a tutti i costi’, come qualcuno in mala fede tenta di dire rispetto a quanto affermato. La legge vigente permette infatti a chiunque di rifiutare i trattamenti proposti o di chiedere che vengano sospesi, senza cedere però all’illusione che esista un ‘diritto alla morte’, senza travestire con il nome di ‘male minore’ l’eliminazione di una persona”.

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