XXX Congresso Nazionale SICP: “L’uomo come sistema complesso” esemplificato da una storia nota…

Ore 8.30, venerdì 17 novembre, Sala Concordia A: meno male che l’ora mattutina non ci ha impigrite e siamo qui ad ascoltare una sessione particolarmente interessante, dal focus promettente di “Gestire la complessità, superare le complicazioni”, sapientemente moderata da Giada Lonati e Luigi Montanari.

Sì, perché nel ricchissimo XXX Congresso Nazionale delle Cure Palliative organizzato a Riccione da SICP, non era affatto facile scegliere tra le tante proposte stimolanti e affascinanti… Ma ecco che un filo invisibile e misterioso (sincronicità?) ci porta qui, ad ascoltare un gentile ricercatore in Filosofia morale dell’Università Bicocca di Milano, Paolo Monti, che all’istante mi incanta con la fluidità delle sue riflessioni e la concretezza della storia “nota” proposta ad esemplificare la gestione e gli sviluppi della complessità: la storia dell’incontro, nel lontano 1948, della Dottoressa Cicely Saunders con David Tasma. Nientemeno: colui che sarà poi il primo paziente fondatore del St Christopher’s Hospice, che vedrà la luce diciannove anni dopo, nel luglio del 1967, e che le lasciò le famose 500 sterline per “essere una finestra nella tua casa”, dando così il là ad un’avventura di bene straordinaria.

Non solo Paolo cita questo esempio, ma la storia in sé diviene il filo conduttore della sua relazione e delle sue slides perché, come poi mi racconta in un piacevolissimo colloquio “ex post” dal suo studio in Università, ritiene che una storia incarnata sia quanto di più efficace per affrontare questo sfaccettato tema della “dignità e della complessità”. Meravigliosa sintonia! Quanto sono fondamentali le storie nella relazione terapeutica? Quanto è ormai scientificamente evidente che la storia di cura co-costruita tra paziente (e famiglia) e curanti è un elemento imprescindibile nella “presa a cuore” di chi è sofferente? Paolo parla, infatti, di “consentire lo spazio di narrazione per dispiegare la complessità” e ricorda anche la necessità di “narrare i silenzi”, come “nodi che divengono visibili” e in qualche modo si possono sbrigliare.

Le sue parole, dunque, rivelano una grande sensibilità e un’acutezza di ragionamento da filosofo nutrito di esperienza; sarà che si occupa di Formazione, ma quando parla dell’uomo come sistema complesso sottolinea tutte le sue dimensioni (biologica, psicologica, sociale e spirituale) e le riassume in tre input di azione: “riconoscersi coinvolti”, “aprire il cerchio” e “tradurre gli snodi”.
“Dalla linearità” si passa alla “complessità” infatti, dove “l’interazione fra le varie parti è più della somma delle parti” e dove come “sistema complesso” s’intende un insieme di “elementi che interagiscono tra loro, anche tramite retroazioni”.

Cita, al proposito, Edgar Morin e il “principio ologrammatico” secondo cui “la parte è nel tutto, ma al tempo stesso il tutto è nella parte”, di contro al “riduzionismo, che vuole spiegare il tutto mediante la somma delle parti” e all’ “olismo, che spiega le parti a partire dal tutto”. E poi cita Cicely stessa, che riconosce nell’incontro fecondo con questo singolo uomo, che le chiese presenza di mente e di cuore, il fondamento di tutta la complessità che ne seguì a livello personale, sociale e scientifico, e ne trae le seguenti conclusioni: “Anche se la complessità dei problemi affrontati da alcuni è scoraggiante, ciò non deve farci sentire senza speranza. La morte non è una malattia psichiatrica e di solito non richiede competenze specialistiche nella consulenza. Coloro che si allontanano sentendo di non poter portare altro che una mancanza di comprensione non si rendono conto che è il loro tentativo di comprendere, e non il successo nel farlo, ad alleviare la solitudine del paziente”.

A concludere questa affascinante e profonda relazione (Paolo stesso mi dice che gli era sembrato un modo “intrigante” di svolgere il tema affidatogli), una poesia di Cicely per David Tasma, dal titolo significativo: “Starting point”, cioè “Punto di inizio” di un processo complesso dalle conseguenze universali.

Veramente significativo, poi, sentire la dottoressa Giovanna Maria Gorni, a proposito dei “pazienti con insufficienza d’organo”, ribadire la necessità di integrare biologia e biografia e l’indispensabilità di costruire un ponte tra l’oggi moderno e le radici rappresentate da Cicely: grazie, cara Dottoressa!

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