Simone Veronese – Vicepresidente EAPC

“RACCONTAMI CHI SEI”: LA STORIA DI IPOS, TRA RICERCA SCIENTIFICA, VOCI DEI PAZIENTI E FORMAZIONE SUL CAMPO AGLI OPERATORI DI CURA.

Nel mese di luglio, il Junior Forum della EAPC ha proposto un webinar molto interessante, dove si è parlato a lungo dello strumento scientificamente validato noto come IPOS (Integrated Palliative Care Outcome Scale), che nasce da un processo di ricerca e di progressiva validazione sul campo promosso dal Cicely Saunders International di Londra.

Come sottolineato all’inizio della sua relazione dalla Dr.ssa Claudia Bausewein (Direttrice della Clinica di Medicina palliativa dell’Ospedale universitario di Monaco di Baviera), fu proprio Cicely Saunders a focalizzare per prima una “Simptom’s list” e a parlare di “Total pain”, cioè di quel “dolore totale” che ormai sappiamo essere composto da “dolore fisico, spirituale, psicologico e sociale”, ma che non erano affatto un concetto e un punto di vista scontati prima di lei.
Ecco, dunque, che la valutazione multidimensionale dei bisogni dei pazienti diviene centrale e nasce dall’ascolto attento e rispettoso delle loro esperienze e delle loro storie: Cicely stessa dedicava molto tempo alla raccolta e all’analisi di queste testimonianze orali, scritte oppure registrate, dei suoi pazienti.
La storia di IPOS, prezioso alleato nell’individuazione dei bisogni multidimensionali dei malati terminali, narra un cammino congiunto di ricercatori internazionali che propongono uno strumento che offre un linguaggio comune ai Professionisti e “tools” per strutturare le conversazioni con i pazienti, in modo da rendere evidenti bisogni nascosti, nell’ottica di una ricerca di ordine qualitativo.

Ne parliamo volentieri con il dr. Simone Veronese, medico ricercatore di riconosciuta competenza e amabile disponibilità, traduttore italiano di IPOS e appassionato formatore, perché ci spieghi un po’ in cosa consiste e come si può utilizzare al letto del paziente.
Le domande che compongono il questionario, ci racconta, pongono in stretta relazione pazienti e operatori, i componenti dell’équipe multidisciplinare tra loro e, attraverso i pazienti, anche famiglia e care-givers. Nel prendere in considerazione anche aspetti sociali e relazionali, il paziente può intuire come per i curanti, attraverso di lui, sono importanti anche i suoi familiari.
In buona sostanza, è uno strumento che riporta il paziente al centro della cura e, così facendo, contribuisce fattivamente al suo “empowerment”: il malato esprime i suoi bisogni e sa che su quella dimensione specifica si potenzierà l’intervento del curante. Naturalmente non è uno strumento esaustivo, ci saranno indagini più approfondite da fare, ma misura gli outcomes: ad esempio, sul dolore fisico può dare un’idea precisa di quanto in un dato arco di tempo un certo problema abbia disturbato il paziente e quali miglioramenti/cambiamenti siano intervenuti in seguito. Come si può ben intuire, nessuna scala sostituisce una conversazione dal vivo…

IPOS è uno strumento “democratico”, adatto a tutti i tipi di patologie che arrivano in Cure palliative, indipendentemente dalla diagnosi, anche se sono stati approntati o sono in corso versioni più specifiche, ad esempio, per gli stati di Demenza. Nasce un passo dopo l’altro, inizialmente come strumento di valutazione dei bisogni del paziente da parte dell’équipe (STASS), poi come strumento rivolto direttamente ai pazienti (POS), ma senza una specifica Lista di Sintomi da esplicitare, il che ne rendeva difficile l’individuazione da parte loro e complicata l’esplorazione, tramiti moduli specifici, da parte degli operatori. Infine, si approfondisce come IPOS (dove “I” sta per “Integrated”), proprio perché integra nelle domande i Sintomi (10 sintomi tra i più rappresentativi in Cure palliative + 3 non identificati, ma aggiungibili caso per caso): importante, sottolinea il Dr. Veronese, è specificare che le domande di IPOS non nascono dalla “curiosità” dei Professionisti, ma da studi approfonditi condotti presso i malati, che li hanno identificati come bisogni prioritari, che se migliorati dalle cure ricevute ne migliorano la qualità di vita. “Molte persone in condizioni simili hanno detto che per loro quell’aspetto è importante” e per questo lo si è scelto come rappresentativo… Veramente bello il fatto che questo strumento scientifico nasce dal cuore delle persone malate, passa attraverso ricercatori di grande prestigio che lo decifrano e lo sistematizzano e poi torna a servizio dei pazienti nella relazione di cura!

Altro punto su cui egli insiste è che, per farne il miglior uso possibile, è necessaria una valida formazione agli operatori: se i sintomi fisici sono più normali per medici e infermieri, quelli psicologici a volte sono meno usuali per loro… Così come uno psicologo, invece, avrà più dimestichezza, per studi e forma mentis, con questi ultimi e un assistente sociale sarà più portato a vederne le angolature relazionali: come a dire, molto dipende da che occhiali si indossano ed è fondamentale saper accogliere i bisogni indirizzandoli a chi ne è più competente nell’équipe, condividendo questa valutazione con il paziente.

IPOS è uno strumento utilissimo e sorprendente, se lo si impara ad usare: ma ciò che più stupisce chi fino al giorno precedente era in Ospedale e non in Cure palliative è il fatto che la prima domanda che gli viene rivolta non ha a che fare con sintomi o prescrizioni, ma riguarda la sua persona. “Raccontami chi sei, quali sono i tuoi problemi o le tue preoccupazioni”, perché “noi operatori” desideriamo incontrarti, riconoscere la tua identità, sapere chi sei tu, perché tu sei importante… Una straordinaria domanda aperta che schiude mondi, apre varchi e crea ponti per una vera presa in carico, colma di dignità e di reciprocità nella cura.

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