Mrs G., la paziente fondatrice che diede il nome al St. Christopher’s Hospice: “un luogo di passaggio per i viaggiatori”.

Non finiremo mai di restare meravigliati e commossi nel leggere le storie dei “pazienti fondatori”, che tanta importanza ebbero nell’ideazione e nella realizzazione concreta del primo Hospice moderno ad opera di Cicely Saunders: le storie di per sé sono porte che si spalancano su mondi da esplorare e sul mistero delle persone che le abitano, ma le loro storie sono quelle “fondamenta vive” senza le quali il St. Christopher di Londra non avrebbe mai potuto vedere la luce e che lei stessa ripercorre con viva gratitudine e affetto a distanza di anni, ogni volta che le si chiede di spiegare da dove è nato quel progetto e quel modo di dare assistenza che hanno rivoluzionato la medicina e dato dignità a chi non poteva più guarire.

Leggere per intero il racconto scritto da Cicely per onorare Barbara Galton mi ha profondamente emozionato: per tutti semplicemente “Mrs G.”, è stata una delle prime pazienti che incontrò al St. Thomas’ Hospital, dapprima come studentessa, poi come medico, nel lontano 1954. La loro relazione fu quotidiana e si arricchì di confidenza e di scambi fino al 1961, quando Barbara morì: sette lunghi anni di vita condivisa, nutriti da rispetto, comprensione, ascolto e sostegno, attraverso momenti lieti e difficili, come era inevitabile che fosse nel progredire della malattia di Devic, una rara e incurabile forma di paralisi progressiva con perdita della vista.

Mrs G. aveva soltanto 33 anni quando i primi sintomi di quella terribile malattia si manifestarono: era felicemente sposata e aveva un bimbetto di poco più di due anni, Peter, che, grazie al suo amore protettivo ed equilibrato, vide sempre la sua mamma “come qualcuno da andare a trovare in ospedale, piuttosto che come qualcuno che mancava a casa”. Un ribaltamento di prospettive tipico di questa donna speciale, che si rivelava capace di contagiare in modo positivo anche gli altri, umanissima nei suoi alti e bassi, ma straordinaria nella forza d’animo e nella determinazione che ebbero costantemente la meglio sulle debolezze del corpo.

La sua personalità resiliente e creativa nel fronteggiare le difficoltà di quel tipo di patologia invalidante si rivela, ad esempio, attraverso il sapersi riprendere con coraggio dalle ricadute, che le riservarono più volte momenti profondamente bui; l’inventarsi piccoli trucchi, anche divertenti, per superare le prove progressive e il saper attraversare il dolore del distacco, ogniqualvolta qualcuno a lei caro, come le Suore del reparto o le infermiere, cambiava luogo e mansione, e le veniva a mancare una compagnia fidata; ma anche, e soprattutto, grazie al suo essere aperta e accogliente verso le persone, tanto che il suo letto era il principale centro di relazioni sociali del reparto e tutti tornavano fedelmente a trovarla. Sapeva intrecciare relazioni così significative che la portarono a interpretarle come doni misteriosi alla luce della sua fede: “Lui con me agisce diversamente: mi manda delle persone”.

Relazioni autentiche, dunque, ma anche un sano e straordinario atteggiamento di autoironia che la portava a prendersi in giro per le sue deformità e a studiare marchingegni come uno speciale accessorio per grattarsi il viso, idea nata e attuata dopo una notte in cui il prurito non le dava tregua ed era da sola; utilissimo poi anche, in una versione perfezionata, per bere “ben 6 brocche d’acqua al giorno” in totale autonomia: un modo di restare protagonista della sua vita e di mantenere uno spazio di libertà, nonostante tutto.

Il suo, ci racconta Cicely, era un “teaching bed”, cioè un’inconsueta cattedra d’insegnamento in divenire, da dove, per esempio, le infermiere imparavano come prendersi cura della sua totale dipendenza fisica rispettandone l’indipendenza di mente e spirito. Basti pensare a come Mrs G. seppe riformulare l’umanissima domanda “Perché proprio a me?” in “Io posso far fronte a questo, loro no”, figurandosi che fosse accaduto ai suoi familiari, e poi ancora oltre: “Perché non a me?”.

Come spesso accade, morì quando decise lei di mollare gli ormeggi e senza doversi congedare da nessuno, scivolando piano piano in uno stato di incoscienza e di notte. L’addio a Mrs G., amica e compagna di strada, fu uno di quei lutti dolorosi per la nostra Cicely che però, come testimonia con gratitudine, con il tempo e un lungo lavoro di elaborazione, trovarono un senso compiuto nel divenire pietre miliari e costitutive del St. Christopher’s Hospice.
I “pazienti fondatori”, appunto.

Arrivederci alla prossima puntata!

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