Un cammino affascinante di ricerca e di esperienza, fatto di piccoli, grandi passi intrapresi con pazienza e chiarezza d’intenti, seguendo un desiderio interiore “così strano, ma così preciso” innescatosi come una scintilla a 22 anni e mai sopito: la dottoressa Cinzia Martini, Responsabile Hospice Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, nonché Socia fondatrice e Consigliere del Sentiero di Cicely, ci dona una narrazione colma di calore e autenticità che testimonia come “competenza e compassione” sono requisiti indispensabili in chi opera in Cure palliative. Ieri come oggi, sulle orme di Cicely.
“A ventidue anni si accese la scintilla: capii che dovevo occuparmi dei malati che non avevano più nessuno che li curava. Più tardi durante il tirocinio in medicina generale, vedendo come andavano le cose per questi malati, ne ebbi la conferma e la lettura di un libro “Un modo di morire” che un caro amico mi regalò per il mio compleanno mi fece conoscere l’esistenza degli hospice di cui non avevo mai sentito parlare. Decisi allora che avrei lavorato in un hospice, ma in Italia nessuno parlava ancora di cure palliative e quando mi confidai col mio professore di psichiatria, che pensava a me come futura psichiatra, mi guardò come se fossi “fuori di testa”; tuttavia, per la simpatia che aveva nei miei confronti, mi disse che se volevo occuparmi di malati inguaribili potevo occuparmi di demenze e mi inviò ad un professore appena rientrato dagli Stati Uniti e divenuto primario all’ Istituto Neurologico Carlo Besta. Fu così che per due anni frequentai e preparai la tesi di laurea sulla Malattia di Alzheimer. Mi fu offerto un lavoro, ma non era quello che cercavo. Sempre lo stesso amico che mi aveva regalato il libro mi disse: “guarda che c’è una conferenza al Policlinico in cui parlerà il professor Ventafridda della Fondazione Floriani”. Così si aprii la via del mio futuro: qualcuno si occupava di malati inguaribili! Mi presentai a Ventafridda, gli dissi cosa volevo fare nella vita, anche lui mi guardò come se fossi strana e ricordo che mi chiese: “non sarai mica una missionaria?”; forse aveva percepito la spinta interiore nella mia presentazione. Fu così che iniziai a frequentare nel giugno del 1987 la terapia del dolore dell’Istituto Tumori di Milano e partecipai alla transizione nel 1988 dalla terapia del dolore alle Cure Palliative. Ricordo le riflessioni e la determinazione che ci vollero per utilizzare quel termine “palliative” dentro ad un grande istituto di ricerca oncologica.
Per due anni lavorai mezza giornata con Ventafridda e mezza giornata al centro sclerosi multipla del “Don Gnocchi”. Occuparmi di demenza e di sclerosi multipla aprii la conoscenza sulle necessità di questi malati. Poi però, con la specialità in oncologia, ho dedicato tutta la mia vita lavorativa ai malati oncologici gravi, facendo parte del gruppo di Ventafridda e vivendo le grandi battaglie che lui guidò e che portarono alla diffusione dell’uso degli oppioidi per il controllo del dolore neoplastico e alla nascita in Italia delle cure palliative. Mi ritengo molto fortunata ad aver potuto incontrare personalmente Cicely Saunders, Balfour Mount, Elisabeth Kübler-Ross. L’istituto è diventato la mia seconda casa. Ventafridda già dal 1988 sapeva che avrei voluto lavorare in hospice e mi disse: “tranquilla, in un paio di anni lo facciamo” . Beh, come Cicely che aspettò 19 anni, anche io aspettai fino al 2006. Questo tempo mi ha dato l’opportunità di lavorare molti anni sia in assistenza domiciliare, sia in ambulatorio, sia nella attività consulenziale all’interno dell’Istituto. Il dott. De Conno, che nel frattempo aveva sostituito Ventafridda, mi affidò lo studio e la cura dei lavori di apertura dell’hospice soprattutto per la divisione degli spazi e l’arredo. La responsabilità dell’hospice è stato il compimento di quel desiderio così strano, ma così preciso che avevo avuto a 22 anni.
Ho fatto parte dell’ultimo tratto di vita di tante persone, ho conosciuto tante storie, tanto dolore, ma anche tanto amore. Ho cercato di colmare la mia formazione di medico curando aspetti di psicologia e di spiritualità indispensabili per cercare di comprendere la sofferenza e la morte. Ho capito che le cure palliative devono essere competenti, rispettose ed amorevoli. Oggi si parla tanto di autodeterminazione, di poter decidere quando morire, ma credo di poter affermare che morire bene vuol dire morire in pace e sono lieta di poter condividere con gli amici del “sentiero” quanto Cicely ci ha insegnato con la sua grande umanità e professionalità.
Una bella storia, direi…“