Le vacanze di Cicely, ovvero “l’importanza di prendersi cura di sé per prendersi cura degli altri”

Ma Cicely, donna infaticabile e molto attiva, andava in vacanza? Oppure era una “workaholic”, cioè viveva per il lavoro e non staccava mai? La domanda è lecita se si ripercorre il suo curriculum incredibilmente ricco di studio e realizzazioni professionali, pubblicazioni e articoli scientifici, viaggi intrapresi e conferenze tenute, incontri personali e corrispondenza scritta. Un vulcano di idee e progetti, in sostanza, la nostra Cicely, che non rimanevano sulla carta o nei sogni (quasi tutti, almeno), ma venivano caparbiamente e pazientemente tramutati in realtà concreta, con una straordinaria fiducia nel fatto che “se quella è la mia strada, prima o poi si realizzerà” nel discernimento, nell’affido e nell’azione.

Siamo abituati a vederla costantemente dedita al prendersi cura di qualcuno, prima in famiglia, poi nella sua formazione e, infine, nel suo Hospice, la cui realizzazione aveva richiesto ben 19 anni: senz’altro, la passione che l’animava non l’abbandonava mai, ma era altrettanto capace di ritagliarsi il tempo necessario a ricaricarsi e a riposarsi, coerentemente con la sua convinzione che “prendersi cura degli altri implica, come presupposto, il prendersi cura di sé”.

Fin dall’infanzia ad Hadley Hurst, dimora storica di famiglia, Cicely era abituata a trascorrere momenti di svago, sport e vacanza con familiari e amici: giocava a tennis e a squash, praticava l’equitazione, partecipava alle feste e si divertiva con i fratelli John e Christopher, che ancora oggi ricorda con affetto scherzi tipici dei bambini e poi, da ragazzi, lunghe conversazioni e scambi di idee )a volte anche molto accesi!). Talvolta si organizzavano gite nelle Highlands scozzesi per pescare e d’estate si passavano le vacanze in Cornovaglia, al Treloyhan Manor Hotel di St. Ives, dove era bravissima a nuotare e a fare surf.

Cicely, quindi,  sapeva concedersi momenti di quiete e di vacanza, anche quando necessitava di un tempo di riflessione o discernimento: amava leggere, scrivere, pregare e meditare… Ma di questo parleremo più dettagliatamente un’altra volta.

Tuttavia, proprio durante un tempo di vacanza in Scozia col padre, Gordon Saunders, nel 1948, a tre mesi dalla morte del primo “paziente fondatore”, David Tasma, ebbe una sorta di illuminazione che la guarì dal dolore profondo del lutto che stava attraversando: in quel tempo lento, cuore e mente trovarono risposte interiori di consolazione, che poi resero più forte la sua determinazione nel costruire “un luogo adatto all’assistenza dei morenti”. Come se, in quegli istanti in cui si dedicava alla cura di sé, emergessero esigenze importanti, interrogativi o dubbi, ma anche intuizioni o scoperte che le cambiavano la vita: proprio come generalmente avviene ad ognuno di noi, se siamo disposti ad ascoltarci e siamo capaci di fermarci, sostando con noi stessi in un tempo di qualità.

“Negotium” e “otium”, potremmo in conclusione sintetizzare, come dicevano gli antichi latini: “lavoro”, tempo attivo e occupato, e “tempo libero” inteso come “cura di sé”, tempo spirituale, fecondo di riflessione e contemplazione, ma non meno vitale del primo.

Allora, fermiamoci un poco anche noi: buone vacanze a tutti!

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