Iniziamo insieme un viaggio attraverso i luoghi geografici e storici che ebbero una fondamentale importanza nel percorso professionale e umano di Cicely, la quale, come è noto, si formò prima come infermiera, poi come assistente sociale e, infine, come medico. In quei luoghi fisici, ricchi di storia e di vita, oltre ad apprendere e ad approfondire nozioni teoriche indispensabili e foriere di future intuizioni innovative, ebbe l’opportunità di fare concreta esperienza dell’assistenza ai malati, di intrecciare relazioni e di conoscere meglio anche se stessa, nella reciprocità di quegli incontri: li riconobbe, a posteriori, come vere e proprie “fondamenta viventi” del futuro St. Christopher’s Hospice, pilastri della filosofia di cura dell’Hospice Movement e seme di una sua personale crescita intellettuale, affettiva e spirituale. Una sorta di “paesaggio geografico” significativo, esteriore e interiore, dunque, che, a ripercorrerlo oggi, in qualche modo presentifica le strade da lei tracciate.
Situato al centro di Londra, nel quartiere di Lambeth, sulla sponda opposta del Tamigi rispetto al Palazzo di Westminster, il St. Thomas’ Hospital è oggi un grande ospedale universitario del NHS inglese, parte di un centro accademico di Scienze della salute denominato King’s Health Partners, ma la sua tradizione di assistenza sanitaria, gratuita o patrocinata da enti di beneficenza, risale al XII secolo.
Tra i tanti nomi noti che lo frequentarono, vi è anche quello della fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, Florence Nightingale, che nel 1859 proprio lì istituì la Nightingale Training School, dalla quale si diplomarono fior fior di infermiere, tra cui la nostra Cicely: attraversando Lambeth Bridge e costeggiando gli edifici dell’ospedale, si scopre il Florence Nightingale Museum a lei dedicato, con più di 800 lettere e oggetti personali, manufatti infermieristici e pannelli interattivi.
Ai tempi di Cicely, le infermiere del Nightingale erano molto unite fra loro da un forte spirito di corpo e dall’etichetta di “nobildonne”, visto che le allieve del St. Thomas’ erano tenute a seguire un codice preciso di comportamento e di abbigliamento, “da vere signore”. Disciplina e decoro, duro lavoro e convivialità, un mix che ben si addiceva alla nostra Cicely, seria e divertente al tempo stesso: una professione che da sempre la attirava e che si fece strada urgente da seguire in tempo di guerra, divenendo il punto d’osservazione privilegiato per sue future intuizioni, impensabili senza il suo essere stata, appunto, infermiera sul campo.
Come sappiamo, tuttavia, il suo doloroso mal di schiena le impedì di continuare a svolgere questo tipo di lavoro, instillandole nel cuore una viva nostalgia della vita in corsia e costringendola a fermarsi… Soltanto per proseguire, determinata e intimamente guidata da quella stessa nostalgia dello “stare accanto ai pazienti” che la portò a essere sempre presente personalmente in reparto, seppur con ruoli differenti, a studiare e a ritornare nel settembre del 1947 proprio al St. Thomas’ Hospital, in qualità di vice assistente sociale sanitario del Northcote Trust, specializzato in pazienti oncologici.
Fu in questa veste di Lady Almoner che ebbe il primo dei tre incontri fondanti della sua vita, quelli che non solo la coinvolsero come donna, ma la fecero crescere e la spronarono a dare veste concreta alla sua aspirazione innata: essere d’aiuto agli altri.
David Tasma, ebreo polacco quarantenne, disperato per la convinzione di non avere realizzato nulla di significativo nella sua vita e in procinto di morire, ebbe in lei non soltanto la professionista capace che si prese in carico il suo vissuto e la sua persona, ma soprattutto qualcuno con cui essere autentico e a cui aprire il cuore, accogliendo la verità del suo destino e trovandone, insieme, un senso profondo: il divenire seme fecondo di un albero dalle lunghe fronde.
Ma questa è un’altra storia, così coinvolgente e intensa da meritare un racconto a sé.