La visione del Play come strumento narrativo completo, concreto e ricco di spunti di riflessione: ecco la nostra proposta formativa, già sperimentata in contesti differenti come l’hospice, l’ospedale, il teatro e i gruppi di volontariato nelle Cure Palliative, presentata sabato scorso all’interno della XVII Edizione del Master in Medicina Narrativa Applicata di Istud Business School a Milano.
Sì perché, dopo aver trascorso un paio d’ore di pratica e teoria nell’ambito più generale di questa disciplina scientificamente sperimentata, che affianca in modo proficuo l’approccio più propriamente clinico per una cura a 360° che accolga i bisogni profondi dei pazienti e delle loro famiglie, ci siamo regalati il tempo di un “cineforum” riservato a chi c’era (in aula e online).
Perché “riservato”, vi chiederete? Semplicemente perché, secondo gli accordi di “custode italiana” che l’Associazione “Sul Sentiero di Cicely” APS di cui faccio parte ha con l’autore David Clark, questo filmato viene sempre accompagnato da uno di noi e contestualizzato: un modo efficace per fare direttamente capo a chi lo ha composto e garantirne la diffusione in ambiti appropriati.
Il Play, dunque, nato come pièce teatrale, è un filmato ambientato in un contesto specifico di Cure Palliative, che racconta la storia vera dell’incontro tra la giovane assistente sociale Cicely Saunders e il rifugiato polacco David Tasma, il primo “paziente fondatore” del St. Christopher’s Hospice di Londra.
Le sue caratteristiche ne fanno un utile alleato per allenare lo spirito di osservazione, assicurando così una maggiore attenzione ai dettagli e un ascolto più attivo nella relazione di cura: di conseguenza, la ricezione di tutti i tipi di linguaggio (verbale, non verbale e paraverbale) consente di raggiungere il canale di comunicazione più affine ad ognuno (visivo, uditivo, cinestesico) per dare un nome alle emozioni, riconoscerle e, in tal modo, connettere il sentire al pensare.
Dopo l’indispensabile coffee break a metà mattinata e una ventina di minuti di visione, ci siamo fermati per domandare se i 30 partecipanti in presenza e online desideravano proseguire nella proiezione e, a corale risposta positiva, abbiamo dedicato altri 40 minuti all’intera storia.
L’attenzione e il silenzio di tutti gli spettatori – per questo vi ringrazio davvero di cuore! – sono stati la riprova che il Play è capace di attrarre e “catturare” chi lo guarda e ascolta in modo attivo e stimolante: l’avere poi espresso emozioni e riflessioni, in libertà e con l’intensità che ognuno desiderava, ha reso il momento della condivisione finale un momento di connessione importante.
Più voci e più punti di vista sono emersi a sottolineare diversi aspetti, dai gesti di cura apprezzati, al setting semplice, ma efficace, fino ai cenni biografici e alle parole-chiave originali di Cicely stessa, che rappresentano i valori delle Cure Palliative originarie, attualissimi anche nei nostri tempi moderni così sfaccettati.
Insomma, presentare il Play in questo contesto è stato un modo interessante di condividere un progetto di Medicina Narrativa Applicata alle Cure Palliative che si è sviluppato nel tempo e, passo dopo passo, è diventato anche uno strumento di formazione sperimentato e, generalmente, ben accolto.
Preziose tutte le restituzioni condivise in plenaria, ma anche quelle che qualcuno ha preferito confidare soltanto a me: ad esempio, anche una fatica nell’entrare in empatia con la storia di David ebreo oppure un trigger con un’esperienza infelice di Cure Palliative domiciliari… Grazie davvero per questi rimandi: oltre a essere un segno di fiducia e di disponibilità, sono anche importantissimi per ricordarsi di sottolineare sempre, prima di vederlo, che se le emozioni suscitate sono troppo forti, si può liberamente scegliere di uscire dall’aula o di disconnettersi.
Come già ricordava la nostra amica Jo Hockley, produttrice del Play e speciale compagna di strada, nell’incontro con l’Associazione “Il Samaritano” di Codogno in settembre, “Cicely and David” è una rappresentazione potente e può innescare reazioni individuali molto differenti: tutte legittime e tutte spunti per accrescere e allenare la propria autoconsapevolezza emotiva.
A tutti gli “studenti” restituisco che, dopo avervi conosciuti e apprezzati, mi auguro di cuore che il vostro cammino narrativo sia fruttuoso: la relazione di cura è ciò che ci caratterizza come esseri umani, ciò per cui vale la pena mettersi in gioco e apprendere tecniche e strumenti per averne, a nostra volta, sempre più… Cura, con la C maiuscola!
P.S. Notizia dell’ultima ora: il Play ha vinto un prestigioso Premio internazionale con l’Università di Navarra, che ne è la “custode spagnola”! Per info, si veda il Blog dedicato di David Clark: https://davidgrahamclark.net/cicely-and-david-a-play/