“La relazione tra spiritualità e cura delle persone malate rappresenta tuttora una sfida al modello biomedico occidentale”: inizia così la presentazione di questo prezioso libro da parte del Dottor Simone Veronese, riassumendo implicitamente la “quaestio aperta” di “cosa s’intende per spiritualità” e “quanto è importante nei processi di cura come componente sostanziale dell’uomo”. Infatti, continua: “La spiritualità come dimensione umana condivisa da ogni persona ha potenzialità straordinarie di cura”.
Un quesito affascinante, antico come l’uomo e oggi finalmente ripreso nella giusta considerazione dopo anni di tecnicismo e riduzionismo: mentre all’estero già esistono percorsi di formazione in ambito sanitario, in Italia siamo proprio all’inizio…
Questo volume, curato con delicatezza e perizia dal Dottor Guido Miccinesi, ha il merito di essere interamente dedicato agli aspetti spirituali dell’assistenza alla persona malata e il grande pregio di trattare quest’argomento da tanti punti di vista, grazie ai contributi di diversi autori, tutti con grande esperienza nel campo delle Cure Palliative. Una visione multidisciplinare, dunque, che si arricchisce grazie al lavoro di squadra, come in una vera équipe di cura, e traccia un sentiero senz’altro da esplorare.
Molto spazio – come non esserne contenti? – è dedicato alla Dottoressa Cicely Saunders, perché è universalmente riconosciuto che fu lei a coniare il termine “dolore totale”, compagno di strada della “cura integrale”, che comprende anche la dimensione spirituale e richiede “la disponibilità a una partecipazione umana profonda” da parte dei curanti, “scegliendo umilmente la centratura nel presente, l’empatia nella relazione di cura e la compassione” come postura adeguata.
Suddiviso in tre sezioni (Spiritualità nella cura, Spiritualità e Cure palliative, Vie di accesso alla spiritualità nella cura), ne riprendiamo qualche spunto: a ciascuno, poi, il piacere di dedicarvi una lettura ricca di sollecitazioni ad approfondire il tema e specchio di un’esperienza messa generosamente in comune.
Sottolineiamo, in sintesi:
• il “bisogno di tempo”, indispensabile perché avvenga un incontro profondo tra curante e curato, richiama anche la diffusa richiesta di “parlare con un assistente spirituale” nel corso del processo di cura
• l’indispensabile “formazione” che presuppone un “cammino interiore”, dove affinare l’ascolto, accrescere la consapevolezza e sviluppare empatia e compassione, senza dimenticare i rischi connessi che richiedono un’intenzione integra
• l’attenzione ben documentata alle Linee guida internazionali, che “raccomandano valutazione e risposta alle preoccupazioni spirituali dei pazienti in cure palliative”
• l’importanza della figura del Cappellano, che oggi si declina anche in ambito laico e richiede un “approccio scientifico nell’assistenza spirituale”
• Il racconto di due storie vere, che, oltre all’efficacia dell’accompagnamento spirituale, evidenziano la mancanza di traccia di esso nella cartella clinica
• parole-chiave che illuminano l’assistenza spirituale sul modello di Cicely: “inquietudine, incontro, storie, tempo, sguardo, grido e comunità”, ma anche l’importanza di “costruire ponti” perché “la sofferenza è intollerabile solo quando non importa a nessuno”
• la sottolineatura della cura che “abbraccia l’intero arco della vita”, dalla nascita alla morte: “morire bene è una sfida: nessuno sa con certezza di poterla vincere”
• la centralità dell’”ascolto empatico”, come “il difficile concetto di giusta distanza”
• l’importanza di “un approccio di cura centrato sulla dignità” e il valore della “parola scritta” come mezzo di “generatività”
• il contributo essenziale della psicoterapia, con “la motivazione a ricercare un nostro personale senso dell’esperienza umana” intesa come “fattore centrale nel cambiamento psicoterapeutico” e l’accento sulle “pratiche di compassione” che “favoriscono un incontro gentile con il dolore”
• infine, l’importanza del “supporto etico” e del “supporto spirituale”, che sono diversi, ma debbono integrarsi nell’approccio bioetico al tema della spiritualità in Cure palliative; così come la necessità di “un alfabeto morale e spirituale per dare un senso alla ricerca del significato ultimo” da parte di “tutti gli attori coinvolti nei percorsi di cura”, nella convinzione che “la scelta sia un punto di contatto tra bioetica e spiritualità”.
Come dire? Una ricchezza di spunti che sollecita riflessioni e interroga in prima persona chi, seppur con ruoli differenti, è parte integrante della complessità della Cura e condivide la comune “vulnerabilità” dell’essere uomo.
Grazie di cuore, allora, a tutti gli autori e a chi ha tessuto le fila di questa trama così vitale e quanto mai attuale!