St. Christopher's Building

St. Christopher’s Hospice

Cronache di un viaggio iniziato sette anni fa… 24/4/2015

Finalmente trovo un momento libero per raccontarvi, in pillole, la mia intensissima esperienza di venerdì scorso 24 aprile in quel di Sydenham, delizioso sobborgo a circa 15 km a sud di Londra, distante circa un’oretta di viaggio tra metro e treno (per altro comodissimi!) dal centro… Come dire? Mi aspettavo 10 (in una scala da 1 a 10) … e ho trovato 100!! Non sto esagerando in ottimismo ed entusiasmo: è che il St. Christopher’s Hospice è una struttura stupenda, centro scientifico di riconosciuta eccellenza in tutto il mondo e, al contempo, “casa” accogliente e familiare aperta a chiunque voglia sostarvi, come me, semplice volontaria e appassionata di quello straordinario mondo delle Cure Palliative che, come indicò Dame Cicely Saunders (tutti la chiamano così, con quel titolo onorifico concessole dalla Regina, in segno di rispetto e di affetto profondo per la persona eccezionale che era), pone al centro la persona nella sua interezza e ammanta di umanità la scienza.

 

La struttura è molto grande, mantiene i padiglioni originali (compreso il Draper’s Wing che Cicely, nella sua forte convinzione di comunità, intendeva a disposizione dei familiari del personale, se desideravano vivere lì) e all’interno giardini all’inglese (ovvero, molto curati) sono a disposizione degli ospiti e di chi desidera passarvi qualche momento di quiete, tra fiori, laghetti, fontane, panchine su cui sedersi e gazebo sotto cui ripararsi dal sole (che quel giorno c’era, e anche tanto!), caffetteria… cioè chiunque può andarvi e rendere quel posto un luogo di “normalità” (nello spirito di Cicely, stimolano la gente del loro quartiere a partecipare, ad esempio alla “pizza” del lunedì, e loro rispondono molto bene, con vivo interesse: non è bello, questo? Mi ha colpito molto!).

Eccezionale, per mio conto, la casetta di legno dove si svolge l’“art therapy”: con l’aiuto di una professionista (Marian, dagli allegri capelli fucsia), gli ospiti, se lo desiderano, dipingono, scrivono, suonano (hanno anche maestri d’eccezione, come artisti della London Orchestra) – e tanti, mi spiegava Marian, scoprono di avere un talento artistico proprio alla fine della loro vita. Ovviamente, i loro capolavori tappezzano interamente le pareti dentro e fuori e sono esposti, con moltissimo orgoglio (l’ho respirato nelle parole di Anna – la volontaria che mi ha accolto e accompagnato nella visita -, la quale me li mostrava raccontandomi anche qualche particolare dei loro autori), lungo i corridoi dell’intera struttura, dove sanno creare, con estrema semplicità, un’atmosfera di “casa vissuta” e di intima comunione che mi hanno affascinata totalmente.

Sono stata accolta da Anna, appunto, che si occupa per professione del “fundraising” – la raccolta fondi-, una gioiosa signora che mi ha portata a spasso dappertutto presentandomi in modo molto amichevole a chi incontravamo: la centralinista, volontari, personale, terapisti, assistente spirituale e … anche ad un ospite in carne ed ossa, Kevin, seduto all’ombra del gazebo del giardino (abbellito con il contributo del Rotary inglese, uno dei tanti fan sostenitori dell’Hospice), sulla sedia a rotelle con una coperta sulle ginocchia ed una sigaretta in bocca. Non potrò mai dimenticare i suoi occhi profondi e comunicativi: sentendo che venivo dall’Italia apposta per visitare il St. Christopher’s e che avevo scritto un libro che parlava di quel luogo, mi disse con spontaneità che lui lì stava bene… che provava pace e serenità e che, al suo secondo ricovero, si sentiva sicuro, protetto e – parole sue – mi assicurò anche che “quando arrivo qui, i miei problemi scompaiono”. Kevin è un giovane uomo dal tempo contato: l’ho ringraziato col cuore per avermi regalato un po’ di sé in quel breve, indimenticabile incontro.

Tanta luce e tanto colore nei corridoi e lungo le scale dei vari reparti, dunque, e anche tanti quadri del marito pittore di Dame Cicely (adesso, anche a me, viene da chiamarla così!): primo su tutti, il “Cristo che placa le acque”, quel quadro dal fondo blu che lei acquistò per la cappella dell’Hospice, agli inizi, e grazie al quale lo conobbe, innamorandosene e condividendo con lui i successivi passi del suo cammino. Oggi si trova in cima ad una scala di un padiglione e mi ha colpito vederlo, salendo i gradini, con accanto un sollevatore e qualche altra attrezzatura medica tipica dell’hospice… nulla di più significativo!

Con discrezione e passo lieve, Anna mi ha portata anche all’interno dell’hospice vero e proprio, dove stanno i pazienti, nelle loro camere singole, perfettamente attrezzate, ma anche tanto belle da vedere: un particolare mi ha colpito, le tende alle finestre, lunghe, fluttuanti, di una bella tela chiara con grandi fiori rossi, come tulipani… un quadro alla Laura Ashley, per intenderci, quella famosa stilista inglese dal gusto romantico e delicato che mi piace tanto. Non c’era nulla di romantico lì, ma di autentico sì: compresi i suoni familiari, come quei respiri profondi che riempiono il silenzio di significati che vanno oltre…

Dopo circa un’ora e mezza di visita e di chiacchiere (simpaticissimi due fisioterapisti di colore che stavano facendo fare esercizi ad un ospite anziano e che, nel mentre, trovarono il tempo di rivolgermi un caloroso benvenuto, con il sorriso compiaciuto del loro assistito), mi ha accompagnata in biblioteca, da Denise, la “Librarian” (bibliotecaria, nonché responsabile di tutto ciò che concerne libri e pubblicazioni varie del/relative al St. Christopher’s); un’altra oretta e mezza di intenso colloquio, sedute alla sua scrivania dove lei, che fu assunta da Cicely in persona e che la conobbe nella quotidianità, mi ha raccontato tantissime cose (ci mancava una tazza da the fumante e poi mi pareva di essere in una “tea room” con un’amica!): aneddoti, curiosità, vicende della struttura, soddisfazioni e problemi (perché, anche lì, come in tutto ciò che è umano, non mancano problematiche di vario genere) e… infine, con mia grandissima gioia, mi ha regalato svariati articoli (anche molto datati, e perciò difficili da reperire per una “non addetta ai lavori” come me) che aveva appositamente selezionato per darmi modo di conoscere più a fondo la fondatrice. Naturalmente, prima di andarmene, ho “saccheggiato” il bookshop, trovando, sempre guidata da Denise, proprio i libri che cercavo da tempo.

Come concludere? Ci siamo lasciate, con entrambe le mie preziose guide, con tanta cordialità, con il proposito di mantenerci in contatto e con l’invito, da parte loro, ad andare a trovarle ogni volta che vorrò… Mi sa che le accontenterò senz’altro, con moltissima gioia e infinita gratitudine per quello che, in poco tempo, mi hanno mostrato e fatto conoscere: anzi, per dirla meglio, per l’avermi fatto sentire una delle tantissime, piccole “goccioline” del mare del St. Christopher’s!

Vi allego qualche foto esplicativa… spero vi trasmettono un poco della magia di quel luogo stupendo che avevo fino ad ora soltanto immaginato, per averne tanto letto e studiato, e di cui adesso, invece, posso parlare per averne fatto diretta esperienza: … e che esperienza!

P.S. Non può mancare un cenno alla “finestra di David”: oggi non si trova più nella hall principale (rimodernata in modo più funzionale nel quarantesimo anniversario di fondazione, nel 2007), bensì accanto ad essa; è un finestrone grande, che lascia filtrare tanta luce e che dall’interno permette davvero di avere uno “sguardo sul mondo”, come definiva Dame Cicely la pietra angolare della sua creatura spiegando a chi glielo domandava il significato di quel primo, fondamentale lascito. Non posso descrivere quale emozione mi ha colto di fronte ad essa… è qualcosa di così personale e intenso che non si può spiegare, ma solo immaginare.

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