“Quando il Curante diviene Paziente”: la quarta e ultima puntata della “nuova” biografia di Cicely.

Ci siamo presi cura bene di lei, e lei ci ha detto che ci siamo presi cura bene di lei”.

Inizia con questa frase significativa di Barbara Monroe, assistente sociale inglese, all’epoca Chief Executive del St. Christopher’s, il capitolo finale della biografia aggiornata di Cicely, che ne racconta gli ultimi tempi in una veste inedita per lei: quando, cioè, si trovò a dismettere il camice da Curante per indossare l’abito da Paziente.

Volutamente scriviamo al maiuscolo questi due ruoli per il rispetto e la dignità che entrambi incarnano e che, talvolta, si invertono quasi in un beffardo cambio di scena: il Guaritore ferito-Guida, per riprendere i miti antichi di Chirone e di Persefone, che sa curare e prendersi cura in maniera totale di coloro che si affidano a lui nel tempo della malattia, possiede quest’abilità perché a sua volta ha sperimentato la sofferenza e non l’ha resa cicatrice passiva, ma feritoia per relazionarsi in profondo con l’altro. Ecco dunque perché, per citare Arthur Frank, il Narratore ferito è colui che rende esplicito, attraverso le storie, il fatto che la malattia è destabilizzante e dolorosa, ma anche fonte di cambiamento, talvolta positivo nel senso di nuove prospettive di senso e di semi di speranza incarnata.

Questo piccolo excursus ci riporta alla storia personale e unica della nostra Cicely, perché tutta la sua vita è stata costellata di sofferenze: gli atroci dolori alla schiena che le impedirono di continuare a fare l’infermiera; le sofferenze emotive e psicologiche vissute fin dall’infanzia per l’infelice relazione tra i suoi genitori; il suo essere presa in giro per l’altezza e per il suo essere “diversa” in tanti interessi dai compagni di scuola; e poi ancora, il dolore di relazioni affettive intense sfociate in lutti segreti e, potremmo aggiungere, la sofferenza sociale di essere spesso incompresa o esclusa per il suo vedere tanto lontano e in modo rivoluzionario.
Sarà proprio questa sua storia plasmata da ferite e sofferenze ad averla resa quella che è stata? Una Guaritrice ferita che si fa Guida e Narratrice di infinite storie di senso? In parte senz’altro; in parte era una di quelle persone stra-ordinarie che illuminano la storia dei loro tempi e si stagliano come giganti nel campo in cui operano… Ogni epoca, per fortuna, ne è costellata, anche se talvolta si comprendono meglio dopo.

Allora, tornando al suo essere malata di cancro al seno e ricoverata nel suo Hospice, quando proprio non poteva farne a meno – sennò, come tutti, prediligeva stare nella sua casa – troviamo conferma che la pazienza non era proprio il suo forte, ma che sempre si disciplinò e venne a patti con la sua vulnerabilità riflettendo e interiorizzando il fatto che la vita passiva non vale meno della vita attiva, anche se difficile da accettare per se stessi.
Venne, in buona sostanza, per lei il tempo di ricevere quanto donato a piene mani nei lunghi anni della sua Professione: le Cure Palliative.

Cicely, che anni prima in un workshop aveva espresso il desiderio di morire di cancro al seno (!), fu accontentata e così, a differenza di una morte improvvisa, ebbe il modo di vivere pienamente il tempo che le rimaneva, accogliendo persone che venivano a trovarla, raggiungendone altre per telefono oppure ancora spostandosi lei in sedia a rotelle per partecipare a qualche incontro vicino, naturalmente accompagnata. Fa tenerezza la sua sincerità quando espresse la paura di essere “dimenticata” da qualche parte; e riempie il cuore scorrere il “Dr. Saunders’ Social Diary”, dove un’infermiera annotava tutti i visitatori provenienti da svariate parti del mondo. Cicely fu anche accontentata nel desiderio di rimanere lucida e presente fino alla fine: tutti concordano che era una paziente amabile, che apprezzava gli sforzi fatti per lei e al contempo era rispettosa dei timori che l’essere proprio “lei” la malata suscitava nei curanti.

Nonostante ciò, sperimentò anche personalmente la fatica di morire a poco a poco, trovando lungo e spinoso questo percorso… nella sua autenticità, non nascose affatto di essere messa duramente alla prova, come tanti altri prima e dopo di lei: infezioni da superare, medicinali da assimilare, impazienza da tenere a freno, stanchezza da fronteggiare, fatica nell’incontrare le persone.
Pur avendo una bella stanza singola, dove abitualmente riceveva i suoi ospiti, piano piano le visite vennero ristrette ad un piccolo numero di familiari e amici cari, che furono sempre accanto a lei fino a che entrò in uno stato di sonno profondo: per citarne alcuni, la sua figlioccia Rosemary, figlia dell’amica del cuore Rosetta Burch; la sua assistente Christine; la dottoressa Mary Baines e… naturalmente suo fratello Christopher, presente in struttura per un meeting proprio nel giorno della sua morte, il 14 luglio del 2005.

Le ultime ore di Cicely furono quelle più intime, delicate e preziose: in quel giorno le persone che più amava, familiari e collaboratori stretti, ebbero modo di sostare in silenzio accanto a lei, in quel “vegliare” che rappresenta l’essenza stessa delle Cure Palliative, l’esserci per davvero in una presenza vera e compassionevole.
Poi, verso sera, quando nei reparti una campanella suonava per segnare la fine di due minuti di silenzio in commemorazione delle vittime del sanguinoso attentato di Londra di una settimana prima, accadde: Cicely spirò serenamente, dopo aver vissuto una vita lunga, intensa e colma di senso.

Una cerimonia funebre si tenne al St. Christopher’s la mattina del 29 luglio, quando l’intero Staff si schierò ad accoglierne il feretro cantando uno dei suoi Inni preferiti, tra la commozione generale. L’anno successivo, poi, e precisamente l’8 marzo 2006, fu solennemente ricordata con una cerimonia a Westminster Abbey, alla presenza di oltre 1800 persone cui, in modi diversi, aveva cambiato o sfiorato la vita, provenienti da tutto il mondo e da contesti differenti. Gli omaggi di Robert Twycross e Sam Klagsbrun ne sottolinearono con forza il suo essere la Fondatrice del moderno Movimento Hospice: o più semplicemente, come disse una volta Cicely stessa, il suo essere stata “la persona giusta a momento giusto nel posto giusto”.

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