Continuiamo la conoscenza con i Soci fondatori del Sentiero: oggi ascoltiamo le parole significative del Dottor Ferdinando Garetto, Direttore medico del nuovo Hospice Cottolengo di Chieri, situato sulle belle colline torinesi. Non si può non restare colpiti dal suo sguardo limpido e sincero che ispira immediata fiducia: un medico molto narrativo, dall’umanìtà calorosa e coinvolgente e appassionato del suo lavoro, in cui unisce un lungo percorso di studio a esperienze sul territorio, in ospedale e in Hospice; tempo generosamente speso nella formazione dei giovani, non solo sanitari, a indelebili incontri personali altrettanto formativi. Ecco cosa ci racconta:
“Come per molti palliativisti, la mia storia è fatta soprattutto di incontri. Nel 1990, al quinto anno di medicina, comincio a frequentare la Radioterapia del San Giovanni Vecchio, allora unico centro oncologico torinese. Fabrizio e Paolo, due medici di reparto, un giorno ci fanno una proposta: incontri informali, di dialogo libero e aperto su quelle domande più impegnative e quotidiane a cui la formazione universitaria non risponde. Il dolore, le sue diverse facce e le terapie, la comunicazione della diagnosi, l’accompagnamento della terminalità. Iniziamo in quattro, finiremo in più di trenta giovani studenti di medicina e neolaureati.
In una di quelle occasioni sento parlare di un servizio appena nato a Torino: l’assistenza domiciliare della F.A.R.O. Per la prima volta scopro che esiste una “medicina per chi muore” che si chiama “cure palliative”.
Appena laureato, con l’incoscienza di un 26enne e con il solo bagaglio esperienziale del tirocinio pre-laurea e poche indispensabili nozioni sull’uso della morfina (che all’epoca ben pochi avevano), chiedo di provare “per qualche mese”. Senza camice, suonando ai campanelli delle case e chiedendo permesso di entrare nelle stanze (che differenza rispetto alle corsie ospedaliere…).
Quella che doveva essere una breve esperienza diventa il mio lavoro esclusivo per almeno 10 anni: le “storie” nelle case, i rapporti con i malati, le famiglie, i colleghi costruiscono la mia quotidianità e la mia formazione, in parallelo con un periodo di crescita e trasformazione delle cure palliative in Italia.
A inizio anni 2000, una proposta interessante: mi chiedono di dare una mano per alcune ore alla settimana nel Day Hospital di Oncologia dell’Ospedale Gradenigo di Torino. Nei 20 anni successivi, gradualmente, è l’ospedale a diventare il mio tempo pieno, pur senza interrompere mai del tutto il servizio a domicilio e in hospice. Si costituisce un piccolo e affiatato gruppo di lavoro con una psiconcologa e con le infermiere della Continuità Assistenziale. Il lavoro “gomito a gomito” con gli oncologi (ma anche gli urgentisti, gli internisti, i chirurghi…) ci fa scoprire un modo innovativo di essere palliativisti. Arrivando “un po’ prima” nelle storie dei malati e delle famiglie, integrandosi, costruendo ponti fra la fase ospedaliera e il passaggio al domicilio e all’hospice. Sono anche anni di interessanti percorsi formativi per la diffusione della cultura delle cure palliative fra tutti gli operatori. Oggi il concetto di cure palliative precoci e simultanee è ben conosciuto, ma all’epoca siamo stati a nostro modo dei precursori.
Nel 2022, dopo la fortissima esperienza del Covid-19, un nuovo “salto”: si apre l’Hospice del Cottolengo a Chieri. Una struttura di 21 posti letto, proprio nel luogo dove Giuseppe Benedetto Cottolengo morì nel 1842. Una sfida affascinante, innanzitutto nella formazione del nuovo gruppo ad avere lo “sguardo delle cure palliative”. Un ambiente dove laicità e spiritualità si incontrano con naturalezza. Da ottobre a oggi abbiamo ricoverato i primi 70 pazienti. Ognuno di loro ci ha insegnato moltissimo: li sentiamo – come diceva Cicely Saunders – “pazienti fondatori”, che danno il segno all’hospice.
Pochi giorni fa a Chieri sono venuti a trovarci cinque giovani medici, specializzandi in Geriatria. Ci conosciamo da quando erano laureandi, si sono appassionati alle cure palliative e stanno portando una piccola rivoluzione nel loro reparto. Ci scambiamo progetti ed esperienze concrete. Ripenso ai primi incontri, più di 30 anni fa, con Fabrizio e Paolo. “Il cerchio si chiude” … o forse, meglio… “la storia continua”.