In memoria di un medico e uomo straordinario: Balfour Mount.

Il 25 settembre scorso, all’età di 86 anni, è morto un gigante della nostra epoca, una di quelle persone che, seppur naturalmente soggette a lasciare questa terra prima o poi, in qualche modo sembrano potersi sottrarre a questa legge per la loro statura e per il senso pieno della loro vita.

Parliamo del famoso Dottor Balfour Mount, padre delle Cure Palliative in Canada sulle orme di Cicely Saunders, dalla quale importò, nel lontano 1974, il nuovo modello di Hospice Care inaugurato con la fondazione del St. Christopher’s Hospice a Londra.
Un uomo eccezionale, guarito dal cancro per ben due volte e sottoposto a tracheotomia permanente per sette lunghi anni, per cui potremmo dire che fu un vero e proprio Guaritore ferito, una di quelle persone che sanno curare e prendersi cura al meglio perché loro stesse hanno sperimentato il buio della malattia e della dipendenza, la paura della morte e l’essenzialità di un’assistenza non solo tecnicamente avanzata, ma anche umanamente compassionevole.

Ricordo di aver letto come fu “ripreso” da Cicely quando, nel 1973, le telefonò per chiederle di visitare il St. Christopher’s in occasione di un weekend londinese con sua moglie: gli rispose che lo avrebbe accolto volentieri, ma da solo e per almeno due settimane, se si fosse rimboccato le maniche e avesse accettato di lavorare accanto a lei e al suo Staff per fare esperienza concreta accanto ai pazientiBalfour comprese e aderì a quella proposta che poi lo rese in grado di aprire la prima Unità di Cure Palliative, coniandone il nome, al Royal Victoria Hospital di Montreal, in Québec, affiliato alla famosa McGill University.

Urologo e chirurgo oncologico praticante, guidò uno studio sull’assistenza riservata ai pazienti terminali, ricavandone l’assoluta inadeguatezza e, di conseguenza, la necessità di implementarla e modificarla. Tramite il testo “La morte e il morire” di Elizabeth Kübler-Ross, sentì parlare di Cicely Saunders e per questo scelse di rivolgersi a lei: divenne amico intimo anche dei suoi familiari che affettuosamente lo chiamavano “Bal”. Era l’epoca dei grandi Pionieri, cui si deve l’affondo moderno su questi temi cruciali e ancora affrontabili con fatica nella cultura di oggi.

In un suo ricordo post mortem, che avvenne proprio in un letto della struttura da lui creata (come Cicely, mi vien da pensare!), il suo Ospedale ricorda: “Garantire che le persone vivessero senza disagio al termine della loro vita era di fondamentale importanza per il Dr. Mount quando istituì il primo Servizio di Cure Palliative (PCS) del Nord America presso l’RVH. Inoltre, era fondamentale per lui che la qualità delle cure non fosse condizionata da restrizioni di bilancio e da altre esigenze del sistema sanitario. In effetti, l’ospedale fece un atto di fede quando il servizio fu lanciato, perché si trovava a dover gestire sia il budget che la carenza di posti letto.

Grazie al suo coraggio e al sostegno della dirigenza ospedaliera, il Dr. Mount ha creato un modello di eccellenza all’avanguardia per i suoi tempi, che includeva un programma di assistenza domiciliare, un reparto di degenza, un servizio di consulenza, un team di follow-up per il lutto, nonché attività di ricerca e insegnamento. Associava il servizio al termine “palliativo” perché la sua etimologia significa “migliorare la qualità”, e questo lo colpiva profondamente. Il team del PCS pubblicò poi il “Manuale RVH sulle cure palliative/hospice”, un volume che divenne il testo di riferimento per lo sviluppo dei servizi di cure palliative in tutto il paese e ampliò il concetto tradizionale di assistenza sanitaria fisica per includere le sfide psicosociali, spirituali ed esistenziali delle malattie in stadio avanzato”.
Ricordandone poi le doti di amabilità, competenza e visionarietà, prosegue così: “Modelliamo il futuro che desideriamo per i nostri pazienti ascoltando, imparando, collaborando e bilanciando tecnologie e attrezzature di nuova generazione con cure palliative e di supporto che affrontano le esigenze di cura della persona nella sua totalità, in tutte le fasi della malattia alla fine della loro vita”.

Il suo “cursus honorum, tra pubblicazioni, libri, titoli, premi e riconoscimenti, è straordinario: la sua autobiografia “Diecimila passi: il cammino come io lo ricordo” è un volume di ben 688 pagine dove “dagli incontri con Viktor Frankl, il Dalai Lama e altri insegnanti, fino a una memorabile conversazione telefonica con Madre Teresa, egli ricorda con apprezzamento, umorismo e umiltà i luoghi e le persone che hanno contribuito a far luce su questa esperienza umana universale”.

Arrivederci, caro Dr. Mount, avrai sempre un posto speciale nella storia internazionale delle Cure Palliative!

P.S. Un’ultima cosa: il tuo essere contrario a eutanasia e suicidio assistito ti rende molto attuale, come si evince da queste tue parole del 2013… “Io provo grande simpatia e rispetto per chi sente che ‘il mio momento è arrivato’ o per chi sente di ‘non farcela più ad andare avanti’. Ma sono fermamente contro l’eutanasia. Legalizzarla significa cambiare la legge in modo radicale. Sarebbe difficile, se non impossibile, creare delle linee guida che salvaguardino i diritti delle persone più bisognose e vulnerabili. Perché i primi ad opporsi all’eutanasia infatti sono sempre le associazioni di disabili? Il problema è che, quando fissi il prezzo e il valore della vita delle persone, hai già superato una soglia molto pericolosa”.

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